« Quella del mulino è stata una scoperta davvero sensazionale perché nessuno in paese ne aveva mai sentito parlare. Quell’anfratto impenetrabile colmo di immondizie continuava ad essere un tormento per me, un interrogativo senza risposta, finché un bel giorno scopro che esisteva nell’antichità un tipo di mulino a ruota orizzontale. L’ipotesi e l’immediata verifica forniscono la risposta a tutto quanto non capivo: “Eureka! Si tratta della camera delle acque di un antico mulino a ritrecine!” A questo punto si spiegano l’esistenza e le dimensioni della roggia che scende al torrente, l’incavo ricavato nel muro per la rotazione della ruota idraulica, la gora per l’adduzione dell’acqua motrice, il foro nella volta per il passaggio dell’asse motore…
Ed è qui che scatta il fattaccio che mi inguaia. Il mio spirito intraprendente, amante delle sfide, diventa prepotente per cui decido: “non solo rinascerà ma girerà!”

Enrico

Entrando in paese, appena passato il ponte di pietra, alzando lo sguardo sulla sinistra, è ben visibile la ruota di un mulino, funzionante fino a qualche decennio fa.

Nessuno però sapeva che poco più sotto, all’inizio della recente passerella lungo il torrente vi era in origine un mulino. Questo perché non presenta la classica ruota verticale esterna, ma raccoglieva l’acqua attraverso un meccanismo inusuale per le nostre zone: la ruota orizzontale, detta ritrecine.

La camera di macinatura

I

Per l’aspetto esterno dei muri strutturali, per il tipo di pietre usate, per l’impasto del legante, per la tonalità grigiastra, la costruzione che ospita il mulino si diversifica decisamente dai muri del resto delle concerie: appare evidente che il manufatto del mulino è molto più antico del fabbricato della concia e lo confermano anche i ruderi degli archi in cui è inserito. Per questo motivo, in fase di recupero le fughe esterne sono state realizzate con un tono grigiastro che lo diversifica.

La macina fissa, annegata nel pavimento, presenta un solco profondo dovuto all’usura provocata da un lungo lavorio della macina rotatoria verticale. Parla di un mulino “a pesta”, adibito con ogni probabilità a diversi tipi di lavorazioni, in particolare la sfibratura della canapa, la molitura dell’orzo, la molitura delle granaglie, la spremitura dei semi di canapa, lino, noci, mandorle, pruno selvatico, la macinatura delle castagne secche, la sfarinatura dei vegetali ricchi di tannino una volta seccati utilizzati per la concia.

La macina operativa lavora di taglio ruotando sulla macina dormiente annegata nella soletta.

Un meccanismo di vite senza fine e ruota elicoidale progettato e costruito da Enrico permette di aprire e chiudere con semplice giro di manovella, dalla camera di macinatura, il canale dell’acqua nella camera sottostante mettendo così in funzione la macina.

La camera delle acque

Oggi per accedere alla camera delle acque occorre attraversare il piccolo ponte in legno ed entrare nella zona delle concerie. Da lì è possibile ammirare, all’interno dell’anfratto scavato nella roccia, la ruota a ritrecine formata da 18 cucchiai di faggio, il mozzo centrale di rovere ed i vari congegni meccanici, progettati e realizzati da Enrico. L’acqua convogliata a colpire i cucchiai mette in movimento la ruota che a mezzo dell’asse montante trasmette il movimento alla macina collegata nel locale superiore.

… nel contesto del borgo

Nel disegno globale della Rocchetta artigiana il mulino a pesta continua nel tempo ad essere prezioso per numerose lavorazioni secondarie, in particolar modo per le concerie operando la sfarinatura dei vegetali disseccati per produrre il tannino.

La messa al bando della canapa comporta la cessazione della principale lavorazione per cui era nato, quando le fibre, ricavate dai fusti della canapa macerati nell’acqua, venivano fatte seccare e venivano martellinate per essere liberate dalla resina che le rendeva altrimenti inutilizzabili. L’operazione era molto fastidiosa per le polveri irritanti che liberava. L’impiego della macina da mulino era la buona soluzione, soprattutto se si considera che ai vecchi tempi la coltivazione e la lavorazione della canapa erano una risorsa fondamentale. Ancora oggi gli orti della zona appena fuori il borgo vengono chiamate “e canavaire”, ovvero le canapaie, a dimostrazione della coltura preponderante ai vecchi tempi.